Put Community First
Il 14 giugno, in concomitanza con l’avvio delle consultazioni dei cittadini per l’approvazione della SEN (Strategia Energica Nazionale), Jacopo Giliberto sul Sole24Ore ironizza sull’epidemia di Sindrome Nimby in Italia, che potrebbe abbattersi pure su stufe a legna e candele. L’ironia nasconde l’accorato e condivisibile invito – riportato nel titolo - rivolto a Sindaci e Regioni a “fare scelte coraggiose”.
Pochi giorni dopo, Francesco Cancellato sull’Linkiesta racconta di una “protesta surreale”, in provincia di Taranto, che sta bloccando la realizzazione di un depuratore in uno dei pochi luoghi della Puglia ancora privi di fogne e trattamento delle acque.
Due riflessioni giornalistiche sulla Sindrome Nimby e sull’affermazione di sé “per opposizione” di tante comunità locali.
A queste si somma l’annuncio di Mark Zuckenberg di voler cambiare la missione di Facebook, il social network che ospita due miliardi di persone: non si tratta più, afferma Zuckenberg, di «dare alle persone il potere di condividere e rendere il pianeta più aperto e connesso», ma di «dare alle persone il potere di formare una comunità e unire il pianeta».
La centralità delle comunità nella revisione dell’algoritmo di Facebook impatterà anche sugli ambiti locali: Facebook è già ora il principale canale comunicativo dei Comitati “contro” per la diffusione di informazione/controinformazione (anche se si registra una recente tendenza dei comitati a organizzare le proprie iniziative tramite WhatsApp, la piattaforma di messaggistica istantanea sempre proprietà di Zuckenberg, che potrebbe perciò scegliere di sviluppare nuove funzionalità proprio per favorire “i gruppi”).
Interrogarsi sugli impatti generati da questi due elementi (cioè l’apparente universalità della Sindrome Nimby e la futura centralità delle comunità in veste di attori sui social) sulle aziende il cui business modifica territori è un imperativo, per evitare di inseguire un cambiamento già avvenuto.
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